HomeCronache di vita sprecataIl figlio di Niki Lauda

Il figlio di Niki Lauda

Ovvero, metodi efficaci di spostamento nella zona universitaria bolognese.

Un atipico lunedì di dicembre, freddo e soleggiato. Sono in via Cartoleria a Bologna, sto salendo sull’autobus. Ogni volta che prendo la navetta C ritorno istantaneamente ai tempi dell’università. Mentre salgo le scalette della porta sul retro, mi ritornano alla mente tutte le aspirazioni che non si sono realizzate, i desideri infranti. Ripenso al mio sogno di diventare neurochirurgo di fama mondiale e mi viene il dubbio che forse non avrei dovuto fare il DAMS.

Timbro il city pass in una frazione di secondo perché ormai a Bologna pur di riuscire a farti la multa ti geolocalizzano direttamente col satellite della NASA. Il bus parte. Non ho il tempo di sedermi, che il mio trolley schizza in avanti e va a schiantarsi contro lo schienale di un seggiolino. Afferro il corrimano ma rimango in piedi per miracolo e solo in quel momento capisco: l’autista è il figlio di Niki Lauda.

Viennese di nascita ma italiano d’adozione sportiva, i più giovani probabilmente non sanno che Niki Lauda è stato tre volte campione del mondo di Formula 1, di cui due con la Ferrari. Quello che tutti ignorano, invece, è che ha un figlio autista d’autobus a Bologna.

Qui occorre aprire una parentesi per spiegare che nel lontano 1999, l’amministrazione comunale decise di completare l’ammodernamento della città iniziato nel tardo medioevo, dotando la zona universitaria di un piccolo autobus agile e compatto in grado di muoversi nelle strette vie del centro storico, consentendo per la prima volta ai poveri studenti pendolari che non potevano permettersi il lusso di venire sfruttati dai malefici affittuari dei terrificanti microappartamenti del centro, d’avvalersi di un mezzo di trasporto pubblico per raggiungere le proprie umili dimore fuori dal capoluogo. Ma districarsi nel traffico delle strette stradine universitarie era un’impresa talmente ardua da non poter essere affidata a un autista qualsiasi, fu per questo che in un’assemblea straordinaria notturna di un giorno festivo, il consiglio comunale decise di assumere il figlio di Niki Lauda.

Mi guardo attorno e m’accorgo che l’autobus è deserto. La forza di gravità dell’improvvisa accelerazione del mezzo mi scaraventa all’indietro. Riesco miracolosamente a rimanere in equilibrio su una gamba e afferrare il braccio estensibile del trolley, che dopo essere rimbalzato contro il sedile davanti mi sta per travolgere. Se riesco a lanciarmi nel primo seggiolino nei paraggi è per via di un’unica e semplice cosa. Esperienza.

La prima chicane è affrontata abilmente, l’ingresso al tornante di via Rialto sembra l’approccio al tornante del GP di Monaco di Lewis Hamilton, però una leggera sbavatura nella parabolica che immette su via Santo Stefano causa un sensibile ritardo. Bisogna recuperare. L’accelerazione nel rettilineo di Santo Stefano che m’appiccica allo schienale ricorda quella della partenza di uno Space Shuttle. Siamo tornati nei tempi. Al semaforo di Piazza Aldrovandi, però, il tragico imprevisto.

Un furgoncino parcheggiato a cazzo ci costringe a una repentina virata, il SUV Volkswagen incazzoso che si mette a suonare e ci taglia la strada ci costringe a fermarci. È il dramma. Il semaforo diventa rosso, il figlio di Niki Lauda abbassa il finestrino e riempie d’improperi lo sprovveduto guidatore del lunedì che prova a rilanciare con un paio di epiteti coloriti; il figlio di Niki chiosa con un: con un: «C’ho il cazzo di furgone in mezzo, dove minchia vuoi che vada. Stronzo!», Io lancio un’occhiata al SUV alla mia sinistra, poi una al furgoncino alla mia destra. Ha ragione il figlio di Niki, ma questo l’uomo del SUV non lo saprà mai perché impallato dal nostro autobus: dal suo punto di vista siamo noi che gli abbiamo tagliato la strada. Lo immagino che entra in casa e racconta alla moglie la sua disavventura con la navetta C convinto di essere nel giusto, e solo in quel momento capisco perché nelle discussioni stradali hanno sempre tutti ragione.

Quando il semaforo diventa finalmente verde, un’auto ferma in mezzo alla strada blocca il nostro passaggio a causa di una vettura abbandonata a vanvera di fianco ai paletti dissuasori mobili di piazza Galvani. Il figlio di Niki Lauda si attacca al clacson e a furia di “cavati dal cazzo” obbliga l’omino a fare marcia indietro per farci passare. Nonostante le origini austriache, dalle parolacce non traspare alcun accento teutonico.

Arriviamo all’intertempo della fermata Galvani con 1 minuto di ritardo. L’impresa è improba. Sale un’incauta anziana, che viene subito sbalzata in avanti. Ancora non sa che al volante c’è il figlio di Niki Lauda. Penso di avvisarla di sedersi al più presto, ma sono troppo impegnato a rimanere agganciato al sedile. Ognuno per sé, ormai siamo alla legge della giungla. In via Rizzoli schiviamo per miracolo due inconsapevoli turiste intente a fotografare la torre degli Asinelli un millimetro fuori dalle strisce pedonali. Il figlio di Niki Lauda borbotta tra sé offese variegate e frasi incomprensibili alle turiste di merda come una sorta di training autogeno per darsi la carica.

All’ingresso della donna nera con bambino nero dentro a un passeggino nero abbiamo recuperato almeno 25 secondi, ma ancora non basta. La donna posteggia il passeggino e deposita il bimbo sul sedile singolo davanti a me. Non sa che al volante c’è il figlio di Niki Lauda. Penso di avvisarla del rischio che sta correndo la sua prole ma Niki Jr. parte in quarta e il pargolino viene catapultato in avanti contro al corrimano. Ormai è spacciato. La mamma lo afferra prontamente prima che sia troppo tardi e lo deposita nuovamente sul sedile. La frenata del semaforo di via Indipendenza sbalza nuovamente in avanti il bambino, che questa volta va a sbattere contro al corrimano. La mamma lo deposita nuovamente sul sedile. La partenza da Space Shuttle ha un’accelerazione pari a 3G, ma non quello telefonico. Il bambino viene compresso contro lo schienale.

Ha il terrore negli occhi.

Si alza in piedi in uno slancio di libero arbitrio: se proprio deve morire su questo autobus, vuole farlo alle sue condizioni, senza attendere di venire catapultato in avanti all’improvviso. Pianta i piedi per terra e si ancora al corrimano. La madre non capisce e lo rimette sul sedile. Il bimbo scende di nuovo, lottando contro la forza di gravità, ma la madre lo depone nuovamente in quella che probabilmente sarà la sua bara. Il bimbo capisce di essere spacciato, lo sguardo di terrore nei suoi occhi mi perseguiterà per tutta la vita.

Siamo ormai alla fine di via Indipendenza, il bambino è miracolosamente sopravvissuto e abbiamo recuperato come minimo un altro mezzo minuto. Inchiodiamo davanti alla fermata della Stazione Centrale in perfetto orario. Un’impresa che solo il figlio di Niki Lauda poteva compiere. Quando mi alzo in piedi mi rendo conto che in oltre vent’anni non l’ho mai visto in volto e titubante lancio un’occhiata verso di lui. Un brivido mi percorre il corpo, è un momento storico, sto per vedere finalmente il viso del figlio di Niki Lauda. Riflesso nello specchietto retrovisore vedo i suoi capelli brizzolati e un paio di occhi neri sopra a una mascherina chirurgica che cela il suo volto come la maschera di un supereroe, e rammento che a causa del Covid non c’è dato di vedere in faccia il prossimo.

Scendo e penso che è meglio che la sua vera identità rimanga per sempre un mistero. Un attimo prima che le porte si chiudano dietro di me, ringrazio mentalmente il figlio di Niki Lauda per avermi fatto arrivare in tempo, ho seriamente rischiato di arrivare puntuale, ora sono 34 minuti in ampio anticipo. M’avvio verso il Frecciarossa al binario 19 e non ho la più pallida idea di come ammazzare il tempo. Quasi quasi mi metto a scrivere per i posteri l’ultima impresa del figlio di Niki Lauda…

Andrea Bacci
Andrea Bacci
Mi chiamo Andrea Bacci. Ho il nome di uno degli apostoli ma giuro che non sono parente. Sono uno dei registi più influenti del mio condominio, attualmente impegnato ad aggirare il prossimo film. Ho diretto commedie, drammi e documentari, e forse proprio per questo la mia vita è una tragicommedia.

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