Ho partecipato al sacco dei negozi romani prima della zona rossa di tre settimane. Sembrava di essere dentro a un episodio di South Park, una di quelle robe della serie: mai “ho visto cose che voi umani” fu detto in modo più appropriato.
Ho visto commessi della Conad correre da un banco all’altro urlando istericamente: «È proprio vero, è finito il lievito. Manco in magazzino ce sta!!!».
Ho visto cani e bambini correre e giocare liberi da Cisalfa come al parco, urlando (i cani), leccando e sputazzando ovunque (i bambini), mentre i padroni (dei bambini) e i genitori (dei cani) provavano ogni singolo paio di scarpe in esposizione pretendendo la dettagliata spiegazione di ciascuna caratteristica tecnica, per riunirsi in lunghi summit come se dalla scelta dipendesse il destino del genere umano.
Ho visto clienti aggirarsi nervosi tra gli scaffali chiedendo ansiogeni a ogni singolo commesso: «Siete aperti domani?! Domani siete aperti?! Ma domani… siete aperti?!».
Ho visto commessi iperattivi rispondere come un risponditore automatico incantato: «Da domani siamo aperti, ma solo il reparto intimo e bambini», «sì, ma solo intimo e bambini», «Solo bambini e intimo. Lo so signora, ma non le faccio io le regole».
Ho visto file alle casse che sembravano la coda per entrare nel locale più esclusivo di Briatore.
Ho visto festeggiamenti nei ristoranti con trenini di meu amigo Charlie Brown che sembravano provenire direttamente dal capodanno del Millennium bug del 2000.
Ho visto gente tra le bancarelle di Porta Portese accaparrarsi tutto quello che gli passava tra le mani al grido di «Zona rossaaaaaaa!!!».
Ho visto ristoratori salutare i loro clienti con un funereo gesto di commiato, una caramella al limone e un “Buon Lockdown e Buona Pasqua” col sorriso amaro sulle labbra.
Ho visto cose che purtroppo ho dimenticato.
Ho visto cose che non dimenticherò mai più.
E quando il giorno dopo tutto sembra finito, m’aggiro con circospezione al supermercato sotto casa e mi sembra di essere tornato ai tempi dell’original lockdown™, quando le ciabatte erano esposte dietro a un nastro isolante nero funebre a forma di “X” tipo scena del crimine con la scritta “non in vendita”, e solo a guardarle mi viene un irrefrenabile bisogno di ciabatte nuove. Perché, nonostante mi vanto di essere immune al fascino seduttivo della pubblicità, l’ancestrale bisogno freudiano di possedere quello che non posso avere è davvero irresistibile.
Le ciabatte del supermercato. Quanto vorrei le ciabatte del supermercato. Non ho mai desiderato un paio di ciabatte come in questo momento.