Le donne, come gli uomini, sono creature estremamente semplici da comprendere. C’è solo una cosa che rimarrà per sempre incomprensibile: il cambio di stagione. Ci ripensavo poco fa mentre spostavo le t-shirt estive nella scansia inferiore dell’armadio e promuovevo felpe e magioni ai galloni di titolari, tipo turnover in una squadra di basket che gioca le coppe con un lungo roster multimilionario. Tempo totale trenta secondi.
Nel corso della mia vita, ho visto cambi di stagione femminili durare giornate intere, talvolta settimane. Roba che in confronto le pulizie del prete di mia nonna durante le benedizioni pasquali erano fugaci spolveratine di 5 minuti.
“Tu non puoi capire” mi ripetono sempre mentre spostano montagne di vestiti dall’armadio sul letto fino a riempirlo completamente. Poi una pausa caffè/sigaretta/riga di coca/Prozac per calmarsi e poi via con l’occupazione del divano e di qualsiasi superficie un tempo preposta al relax e ora cinta d’assedio come una città infedele ai tempi delle crociate.
E quando provi a lanciare un rametto d’ulivo nel caos incontrollato del cieco estremismo vestiario che ti circonda, proponendo una semplice soluzione razionale, vieni trafitto dall’ennesimo “Non puoi capire, sei un uomo”, che se provi a dirlo te a generi invertiti parlando di basket, calcio o lotta greco romana, ti becchi una denuncia per aggressione sessista che per patteggiare la riconversione in una pena pecuniaria ti servono gli avvocati di Berlusconi.
Io non lo so se sono l’unico a non capire il mistero che si cela dietro il cambio di stagione, so solo che quando sento gli scienziati parlare del dramma del cambiamento climatico, immagino il pianeta terra sommerso da gonne, tailleur, perizomi e bikini e mi viene la tachicardia.